Ai sensi della
direttiva 74/442/CEE, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie (tra cui il divieto di abbandono, scarico e smaltimento incontrollato) per
garantire che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute umana e per l'ambiente (articolo 4); essi devono inoltre adottare le misure necessarie perché ogni detentore di rifiuti provveda a
consegnarli ad un raccoglitore o provveda lui stesso allo smaltimento, nel rispetto della direttiva (articolo 8); infine, l'articolo 9 subordina l'attività di smaltimento dei rifiuti al rilascio da parte dell'autorità nazionale di un'
autorizzazione specifica, che può riguardare un periodo determinato, può essere rinnovata o essere accompagnata da condizione e, infine, può essere rifiutata. Il contenuto di tali articoli è ora riprodotto dagli articoli 13, 15, 23 e 36 della
direttiva 2008/98 (che ha abrogato e sostituito la direttiva 2006/12/CE che, a sua volta, aveva abrogato e sostituito la direttiva 74/442/CEE). L'articolo 2 della direttiva
91/689/CEE ha previsto, tra l'altro, l'obbligo di
catalogazione e identificazione da parte delle autorità nazionali
dei rifiuti pericolosi smaltiti in discarica (anche il contenuto di tale articolo è stato trasposto nell'articolo 35 della direttiva 2008/98/CE, che ha abrogato anche la direttiva 91/689/CEE). Infine, la
direttiva 1999/31/CE, all'articolo 4, condiziona il funzionamento delle discariche esistenti alla presentazione di un
piano di riassetto sulla base del quale le autorità nazionali possano decidere il proseguimento dell'attività o la chiusura; il successivo articolo 18 prevedeva il termine di due anni dall'entrata in vigore della direttiva per l'adozione da parte degli Stati membri delle misure necessarie e per informare la Commissione.
Per non avere adottato i provvedimenti necessari all'attuazione delle disposizioni di tali direttive, la Corte di giustizia aveva già riconosciuto l'inadempienza dell'Italia nella sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250) del 26 aprile 2006, accogliendo il ricorso della Commissione europea. In sede di controllo dell'ottemperanza di tale sentenza, la Commissione ha dedotto il persistere della inadempienza e ha deciso di presentare il presente ricorso, ai sensi dell'articolo 260 TFUE.
In particolare, la Commissione ha sottolineato l'esistenza sul territorio italiano, oltre il termine indicato dal parere motivato, di un notevole ma incerto numero (tra 368 e 422) di discariche non conformi alla direttiva 74/442, di cui fra 15 e 21 contenenti rifiuti pericolosi non catalogati ed identificati. Per tali siti, i lavori di bonifica non risultano ultimati o, in qualche caso, nemmeno programmati, mentre per alcune di tali discariche era stato disposto il sequestro. Ad avviso della Commissione, l'Italia avrebbe dovuto adottare misure strutturali dal momento che il sistema repressivo previsto dalla normativa nazionale si era dimostrato insufficiente a dare esecuzione alla sentenza (EU:C:2007:250). Inoltre, l'Italia non avrebbe ottemperato ai suoi obblighi avendo anche omesso di valutare la necessità di adottare misure di bonifica e recupero dei siti interessati. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dall'Italia, le misure che prevedono il divieto di abbandono, scarico e smaltimento incontrollato di rifiuti non esauriscono gli obblighi previsti dalle direttive comunitarie e, laddove operazioni di bonifica fossero state previste, sulla base delle informazioni in possesso della Commissioni, sarebbero ancora in corso. Inoltre, alla scadenza del termine del parere motivato, risultavano irregolari sotto il profilo delle autorizzazioni richieste dalla direttiva 1999/31 almeno 93 discariche in funzione alla data del 16 luglio 2001: per taluni siti non sarebbe stato né approvato né presentato alcun piano di riassetto e non sarebbe stata adottata alcuna decisione in ordine alla chiusura; per altri siti, i dati forniti dalle autorità italiane sarebbero incompleti o poco chiari o addirittura del tutto mancanti.
L'Italia, invece, ha sostenuto di avere adottato tutte le misure necessarie ai fini dell'esecuzione della sentenza (EU:C:2007:250), avendo messo in sicurezza tutte le discariche; a giudizio dell'Italia, infatti, la direttiva 74/442 non imporrebbe obblighi di ripristino o di bonifica dei siti. Inoltre, non solo tutte le 218 discariche considerate abusive dalla Commissione erano inattive alla data della scadenza del termine previsto dal parere motivato ma la maggior parte dei siti sarebbe stata anche bonificata o in corso di riassegnazione agli utilizzi fondiari tradizionali. Pertanto, dal momento che le discariche giudicate non conformi erano chiuse, le disposizioni relative ai piani di riassetto non sarebbero state più applicabili.
Inoltre, ad avviso dell'Italia, l'ampliamento del numero delle discariche considerate dalla Commissione avrebbe imposto alla stessa Commissione l'obbligo di inviare un nuovo parere motivato. Da ultimo, l'Italia ha contestato il fatto che nell'ordinamento nazionale non vi sono norme in palese contrasto con la normativa europea.
La Corte, preliminarmente, in sede di giudizio sulla ricevibilità del ricorso, respinge le argomentazioni dell'Italia in merito all'illegittimo ampliamento del numero delle discariche oggetto del ricorso, dal momento che, come già nella sentenza (EU:C:2007:250), la Corte constata l'esistenza di un inadempimento di carattere generale e persistente. Essa, infatti, non fa riferimento ai singoli siti ritenuti non conformi né a disposizioni specifiche dell'ordinamento giudicate inadeguate, ma piuttosto alla mancanza di misure di carattere strutturale che pongano in essere una riforma in grado di dare esecuzione alla sentenza.
Entrando poi nel merito del giudizio, in primo luogo, la Corte ritiene che, come afferma la Commissione, l'Italia ha continuato a violare l'articolo 4 della direttiva 74/442/CEE. Infatti, se è vero, come sostiene l'Italia, che l'articolo 4 della direttiva 74/442/CEE non impone agli Stati membri di bonificare i siti delle discariche abusive, lasciando loro un margine di discrezionalità nell'adozione di misure che salvaguardino la salute e l'ambiente, è anche vero che la constatazione di un degrado rilevante dell'ambiente per un periodo prolungato, in assenza di interventi delle autorità competenti, rivela l'abuso da parte dello Stato membro del margine di discrezionalità. La mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non sono pertanto sufficienti ad adempiere gli obblighi posti dall'articolo 4 della direttiva 74/442/CEE. Al contrario, ai sensi di tale norma, lo Stato membro è tenuto a verificare se sia necessaria la bonifica del sito e, all'occorrenza, a bonificarlo.
A tale proposito, l'Italia non può sostenere di non essere stata al corrente che la completa esecuzione della sentenza (EU:C:2007:250) comportasse anche l'adozione di misure relative alle discariche abusive, dal momento che i sopralluoghi e le ispezioni menzionati nei rapporti inviati alla Commissione attestano la piena consapevolezza delle autorità italiane della minaccia per la salute e l'ambiente rappresentata da tali siti. Inoltre, anche quando i lavori di bonifica fossero stati programmati, è pacifico che, alla data di scadenza del termine fissato dal parere motivato (30 settembre 2009), in certi siti i lavori erano ancora in corso o non erano ancora iniziati; per altri siti, l'Italia non ha fornito alcuna indicazione utile a determinare la data entro la quale tali bonifiche sarebbero iniziate.
L'Italia risulta inadempiente anche con riferimento all'articolo 8 della direttiva 74/442/CEE, dal momento che impone agli Stati membri di accertarsi che il detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore autorizzato o provveda egli stesso secondo le disposizioni della direttiva. Ad avviso della Corte, tale obbligo non è soddisfatto quando lo Stato membro si limita ad ordinare il sequestro della discarica e ad avviare un procedimento penale.
Ad avviso della Corte, inoltre, l'Italia non ha adempiuto neanche all'obbligo, previsto dall'articolo 9 della direttiva 74/442/CEE, di subordinare l'attività di smaltimento dei rifiuti ad una specifica autorizzazione rilasciata dalle autorità competenti. Anche in questo caso, la mera chiusura di una discarica non è sufficiente a garantire il rispetto della norma, essendo piuttosto necessaria una specifica attività di controllo e vigilanza per l'accertamento della regolarità delle attività svolte nelle discariche, che garantisca, eventualmente, la cessazione delle operazioni svolte irregolarmente e l'effettiva applicazione di sanzioni.
Con riferimento a tale rilievo, l'Italia si è limitata ad affermare che tutte le discariche indicate dalla Commissione risultavano chiuse alla scadenza del termine impartito. Inoltre, nelle memorie difensive, l'Italia ha riconosciuto che i gestori di alcune di tali discariche non hanno mai disposto dell'autorizzazione.
La Corte dichiara l'inadempimento dell'Italia anche con riferimento agli obblighi di catalogazione e identificazione dei rifiuti pericolosi depositati in discarica. Infatti, l'Italia non ha sostenuto, e tantomeno dimostrato, di avere provveduto, entro il termine impartito, in tal senso.
Infine, ad avviso della Corte, l'Italia ha violato anche l'obbligo di subordinare la continuazione dell'attività di una discarica all'approvazione di un piano di riassetto, come previsto dall'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE. A tale riguardo, l'Italia si è limitata ad affermare che tutte le discariche indicate dalla Commissione come irregolari quanto al piano di riassetto, erano chiuse alla scadenza del termine. Tuttavia, come risulta dalla documentazione prodotta dall'Italia, alcune di tali discariche sono state aperte senza autorizzazione e per tali siti non è stato adottato alcun provvedimento di chiusura.
Quanto alla determinazione dell'ammontare delle pene pecuniarie, la Corte preliminarmente ricorda che rientra tra le sue prerogative stabilire le sanzioni pecuniarie adeguate, in particolare per prevenire la reiterazione di analoghe infrazioni al diritto dell'Unione.
La possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria dipende dall'accertamento del perdurare dell'inadempimento fino all'esame dei fatti da parte della Corte: nel caso in specie, risulta alla Commissione che, al momento della discussione del ricorso, 200 discariche italiane non erano ancora conformi alle disposizioni europee.
Da tali elementi, pertanto, la Corte deduce la persistenza dell'inadempimento e osserva che la condanna al versamento di una penale costituisce un mezzo finanziario adeguato a sollecitare l'Italia all'adozione delle misure necessarie per garantire la completa esecuzione della sentenza (EU:C:2007:250), ponendo fine all'inadempimento. I criteri da prendere in considerazione per fissarne l'importo sono, pertanto: la durata dell'inadempimento, il suo grado di gravità e la capacità di pagamento dello Stato membro, determinata sulla base della recente evoluzione del Prodotto interno lordo (PIL). Nell'applicazione di tali criteri, la Corte deve tenere conto delle conseguenze dell'omessa esecuzione sugli interessi pubblici e privati nonché dell'urgenza di indurre lo Stato membro a conformarsi ai suoi obblighi.
L'inadempimento dell'Italia risulta grave in quanto l'obbligo di smaltire i rifiuti senza pregiudizio per la salute umana e l'ambiente costituisce uno degli obiettivi della politica ambientale dell'UE. Inoltre, il fatto che la controversia in esame riguardi la mancata esecuzione di una sentenza avente ad oggetto una prassi generale e persistente aumenta la gravità dell'inadempimento. Inoltre, pur tenendo conto dei notevoli progressi compiuti dall'Italia, essi sono stati compiuti con grande lentezza e, alla data di discussione del ricorso, numerose sono ancora le discariche abusive in funzione. Pertanto, la Corte calcola la durata dell'inadempimento in oltre sette anni.
Per tenere conto dei progressi compiuti, la Corte giudica opportuno condannare l'Italia al pagamento di una penalità decrescente su base semestrale in ragione del numero di siti messi a norma, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi, sulla base delle prove dell'adozione delle misure necessarie, trasmesse alla Commissione prima della fine di ciascun semestre.
La penalità semestrale, da versare alla Commissione, sul conto "Risorse proprie dell'Unione europea", è calcolata, per il primo semestre successivo alla sentenza, a partire da un importo iniziale di 42.800 euro, dal quale saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenenti rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per le altre discariche regolarizzate.
Ad avviso della Corte, il numero elevato di discariche non conformi e il gran numero di procedure di infrazione in materia di rifiuti delle quali è stata investita sono indice del fatto che la prevenzione effettiva della futura reiterazione di analoghe infrazioni al diritto dell'Unione richiede l'adozione di una misura dissuasiva, quale la condanna al pagamento di una somma forfettaria, correlata alle caratteristiche dell'inadempimento rilevato e al comportamento specifico dello Stato membro. Anche in questo caso, i criteri per il calcolo dell'ammontare sono la gravità dell'inadempimento, la sua durata dopo la pronuncia della sentenza e la capacità di pagamento dello Stato interessato. Dal momento che l'inadempimento italiano ha carattere generale e persistente, che le discariche si trovano nella quasi totalità delle regioni italiane e che alcune di esse contengono rifiuti pericolosi, la Corte giudica equo condannare l'Italia al pagamento di una somma forfettaria di 40 milioni di euro.
Infine, essendo parte soccombente, l'Italia è condannata anche al pagamento delle spese.