La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, dell'articolo 3 TUE, dell'articolo 10 TFUE nonché dell'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (di seguito, la Carta) ed è stata proposta nell'ambito di una controversia tra, da un lato, VT e, dall'altro, il Ministero dell'Interno (Italia) e il Ministero dell'Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione centrale per le risorse umane (Italia) in merito alla decisione di non ammettere la partecipazione di VT a un concorso organizzato per il conferimento di posti di commissario della Polizia di Stato, avendo egli raggiunto il limite massimo di età previsto a tal fine.
Quanto ai fatti, il 2 dicembre 2019 il Ministero dell'Interno indiceva un concorso per titoli ed esami per il conferimento di 120 posti di commissario della Polizia di Stato, il cui bando, fra i requisiti generali di ammissione al concorso, prevedeva che i candidati dovessero aver compiuto il 18° anno di età e non aver compiuto il 30° anno di età, salve ipotesi particolari. VT, siccome non soddisfaceva il requisito di età richiesto (in quanto nato nel 1988 e, dunque, avendo già compiuto i trent'anni e non rientrando in alcuna delle ipotesi particolari nelle quali il limite di età è aumentato), non riusciva a presentare la propria candidatura e, pertanto, proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che, dopo averlo ammesso con riserva a partecipare a tale concorso (di cui successivamente superava le prove preselettive), lo rigettava, con la motivazione che il limite di età menzionato costituiva una «limitazione ragionevole» e che, in questo senso, esso non era contrario né alla Costituzione della Repubblica italiana né alla normativa europea che vieta le discriminazioni anche sulla base dell'età, in particolare la direttiva 2000/78.
Ai sensi dell'articolo 1, quest'ultima stabilisce un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate, tra l'altro, sull'età per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro, mirando così a rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento, per il quale, ai sensi dell'articolo 2 della medesima direttiva, si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all'articolo 1.
Fatto salvo ciò, all'articolo 4 la direttiva citata prevede che gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all'articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, la caratteristica in questione costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato.
L'articolo 6, poi, stabilisce che gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell'età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell'ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.
VT proponeva appello avverso tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato, adducendo il contrasto delle norme che prevedono il limite di età di cui trattasi sia con il diritto dell'Unione sia con la Costituzione della Repubblica italiana e altre disposizioni del diritto italiano.
Riscontrando, ai sensi dell'articolo 2 della direttiva 2000/78, la sussistenza di una discriminazione basata sull'età, non giustificata alla luce degli articoli 4 e 6 della direttiva medesima, detto giudice affermava che, dalla lettura dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 334/2000, disciplinante le funzioni di commissario di polizia, emergesse in modo evidente che le funzioni del commissario di polizia sono essenzialmente direttive e di carattere amministrativo, le disposizioni nazionali applicabili non prevedendo come essenziali funzioni operative di tipo esecutivo che, come tali, richiedono capacità fisiche particolarmente significative.
In tale contesto, adducendo peraltro ulteriori argomenti corroboranti il carattere sproporzionato del detto limite di età, il Consiglio di Stato decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale: se la direttiva 2000/78, l'articolo 3 del TUE, l'articolo 10, TFUE e l'articolo 21 della Carta vadano interpretati nel senso di ostare alla normativa nazionale contenuta nel decreto legislativo n. 334/2000 e successive modifiche e integrazioni e nelle fonti di rango secondario adottate dal Ministero dell'Interno, la quale prevede un limite di età pari a trent'anni nella partecipazione ad una selezione per posti di commissario della carriera dei funzionari della Polizia di Stato.
La Corte ha, anzitutto, precisato che con la sua questione il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l'articolo 2, paragrafo 2, l'articolo 4, paragrafo 1, e l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, letti alla luce dell'articolo 21 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede la fissazione di un limite massimo di età a trent'anni per la partecipazione a un concorso diretto ad assumere commissari di polizia.
In primo luogo, dal momento che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 specifica che sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1 della direttiva stessa, una persona è trattata in modo meno favorevole di un'altra che versi in una situazione analoga, la Corte di giustizia ha ritenuto che, nel caso di specie, tale tipo di discriminazione sussista, in quanto il requisito dell'età previsto all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 334/2000 ha l'effetto di riservare a talune persone, per il solo fatto di aver compiuto trent'anni di età, un trattamento meno favorevole di altre che versano in situazioni analoghe.
Stabilito ciò, la Corte ha proceduto a verificare se la riscontrata disparità di trattamento possa essere giustificata alla luce dell'articolo 4, paragrafo 1, o dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78.
Con riferimento all'articolo 4, paragrafo 1, essa ha statuito che spetterà al giudice del rinvio, che è il solo competente a interpretare la normativa nazionale applicabile, determinare quali siano le funzioni effettivamente esercitate dai commissari della Polizia di Stato e, alla luce di queste ultime, stabilire se il possesso di capacità fisiche particolari sia un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, tenendo conto delle funzioni effettivamente esercitate in maniera abituale dai commissari nello svolgimento delle loro mansioni ordinarie. Qualora constati che il possesso di capacità fisiche particolari non è un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, il giudice del rinvio dovrà concludere nel senso che l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, letto in combinato disposto con l'articolo 2, paragrafo 2, della medesima, osta alla normativa di cui trattasi nel procedimento principale. Per contro, qualora constati che il possesso di capacità fisiche particolari costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, il giudice del rinvio dovrà poi verificare se il limite di età di cui trattasi persegua una finalità legittima e se sia proporzionato, ai sensi del richiamato articolo 4, paragrafo 1.
Ciò posto, con riferimento al carattere proporzionato di tale normativa, la Corte ha rammentato che, in base al considerando 23 della direttiva 2000/78, è in «casi strettamente limitati» che una disparità di trattamento può essere giustificata quando una caratteristica collegata, segnatamente, all'età costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Ha aggiunto inoltre che, in quanto consente di derogare al principio di non discriminazione, l'articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva deve essere interpretato restrittivamente.
Dopo aver richiamato la sua giurisprudenza sul punto, la Corte di giustizia ha precisato che, al fine di determinare se, fissando il limite massimo di età a trent'anni per la partecipazione a un concorso diretto ad assumere commissari di polizia, la normativa di cui trattasi nel procedimento principale abbia imposto un requisito proporzionato, il giudice del rinvio dovrà, innanzitutto, verificare se le funzioni effettivamente esercitate da tali commissari di polizia siano essenzialmente funzioni operative o esecutive che richiedono capacità fisiche particolarmente elevate. Infatti, è solo in quest'ultima ipotesi che tale limite massimo di età potrebbe essere considerato proporzionato.
Riscontrando che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale sembra inferirsi che i commissari della Polizia di Stato non esercitino siffatte funzioni, e considerando una serie di ulteriori circostanze evidenziate dal ricorrente principale e dal giudice del rinvio per convalidare il carattere sproporzionato del limite di età di cui trattasi, facendo salve le verifiche spettanti al giudice del rinvio, la Corte ha affermato che, nella misura in cui le funzioni effettivamente esercitate dai commissari della Polizia di Stato richiedano capacità fisiche particolari, la fissazione del limite massimo di età a trent'anni previsto all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 334/2000 costituisce un requisito sproporzionato, alla luce dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2000/78.
Con riferimento all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, la Corte ha rilevato che la questione relativa alla giustificabilità della disparità di trattamento introdotta dalla normativa di cui trattasi nel procedimento principale alla luce di tale disposizione dovrà essere esaminata solo laddove la medesima disparità non possa giustificarsi in forza dell'articolo 4, paragrafo 1. In questa ipotesi, si dovrebbe verificare se la condizione relativa all'età massima di trent'anni per partecipare a un concorso diretto ad assumere commissari di polizia sia giustificata da una finalità legittima e se i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.
Precisando che le finalità da ritenersi «legittime» ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 e conseguentemente atte a giustificare una deroga al principio del divieto delle discriminazioni fondate sull'età sono le finalità rientranti nella politica sociale, la Corte ha affermato che, nella misura in cui il limite di età istituito dalla normativa in esame possa considerarsi basato sulla formazione richiesta per il lavoro in questione o sulla necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento, tali finalità potrebbero giustificare la disparità di trattamento di cui trattasi nel procedimento principale, qualora essa sia «oggettivamente e ragionevolmente giustificata, nell'ambito del diritto nazionale. Anche nella siffatta ipotesi occorrerebbe, comunque, esaminare se i mezzi impiegati per il conseguimento di dette finalità siano appropriati e necessari.
A tale proposito la Corte ha dichiarato, da un lato, di non disporre di elementi che le consentano di ritenere che il limite di età in questione sia appropriato e necessario tenuto conto della finalità di garantire la formazione dei commissari di polizia; dall'altro, ha affermato che una normativa nazionale che fissa un simile limite di età non può, in linea di principio, essere considerata come necessaria al fine di garantire ai commissari interessati un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento, in particolare se il giudice del rinvio dovesse confermare, all'esito dell'esame di tutti gli elementi pertinenti, che le funzioni dei commissari di polizia non comportano essenzialmente compiti impegnativi sul piano fisico che i commissari di polizia assunti a un'età più avanzata non sarebbero in grado di realizzare per un periodo sufficientemente lungo.
In tali circostanze, salva conferma da parte del giudice del rinvio, la disparità di trattamento risultante da una disposizione come l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 334/2000 non può, secondo la Corte di giustizia, essere giustificata ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, lettera c), della direttiva 2000/78.
Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) ha dichiarato che:
l'articolo 2, paragrafo 2, l'articolo 4, paragrafo 1, e l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, letti alla luce dell'articolo 21 della Carta, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede la fissazione di un limite massimo di età a trent'anni per la partecipazione a un concorso diretto ad assumere commissari di polizia, allorché le funzioni effettivamente esercitate da tali commissari di polizia non richiedono capacità fisiche particolari o, qualora siffatte capacità fisiche siano richieste, se risulta che una tale normativa, pur perseguendo una finalità legittima, impone un requisito sproporzionato, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.