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Sentenze della Corte di Giustizia dell'UE

La sezione raccoglie gli estremi delle sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE) che, dal mese di dicembre 2011, a seguito della loro pubblicazione sul sito della medesima, sono state trasmesse alle Camere dal Governo (Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri) e assegnate alle Commissioni parlamentari competenti per materia ai fini di un loro possibile esame, ai sensi dell'articolo 127-bis del Regolamento della Camera dei deputati.

Si tratta delle sentenze in cui lo Stato italiano o altro ente pubblico territoriale italiano sono parte - anche interveniente - nella causa dinanzi alla CGUE e delle sentenze relative a procedimenti avviati a seguito di rinvio pregiudiziale da parte di un'autorità giudiziaria italiana. Attraverso uno specifico collegamento ipertestuale è possibile consultare il testo integrale di ciascuna sentenza.
 

  • C-389/22

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    Assegnata in data: 21/02/2024

    Commissione: IV COMMISSIONE (DIFESA), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza del 25 gennaio 2024 nella causa C‑389/22 (membri del personale del Corpo militare della Croce Rossa italiana contro il Ministero della Difesa, il Ministero della Salute, il Ministero dell'Economia e delle Finanze nonché la Presidenza del Consiglio dei ministri), la Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che:

    - l'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell'Unione, e risolverla sotto la propria responsabilità, qualora la corretta interpretazione del diritto dell'Unione si imponga con un'evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio;

    - la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, volta a prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa trova applicazione al rapporto instaurato tra il Corpo militare della Croce Rossa italiana ed il relativo personale, chiamato a svolgere un servizio temporaneo, a condizione che tale rapporto rientri nella categoria dei «contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi», ai sensi del citato accordo quadro. In tal caso, la disposizione osta a una normativa nazionale che consente la proroga e il rinnovo nel corso di più anni, senza soluzione di continuità, nella misura in cui tale normativa non preveda nessuna delle misure destinate a evitare e, se del caso, sanzionare un utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato successivi;

    - il principio di non discriminazione, come attuato e concretizzato dalla clausola 4, punto 1, del citato accordo quadro, secondo il quale i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, a meno che non sussistano ragioni oggettive, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che, a seguito della riorganizzazione di un ente quale la Croce Rossa italiana, consente al personale del Corpo militare di quest'ultima, chiamato a svolgere un servizio continuativo, di continuare a esercitare l'attività al servizio di tale ente, ma non prevede la stessa possibilità per il personale del medesimo Corpo militare chiamato a svolgere un servizio temporaneo, la cui attività al servizio di tale ente è terminata alla data prevista.

  • C-255/21

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    Assegnata in data: 21/02/2024

    Commissione: IX COMMISSIONE (TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza del 30 gennaio 2024 nella causa C‑255/21 (Reti Televisive Italiane SpA (RTI) contro Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - AGCOM), la Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che l'articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2010/13/UE (relativo alle percentuali di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita ammissibili in determinate fasce orarie) deve essere interpretato nel senso che la nozione di «annunci dell'emittente relativi ai propri programmi» (esenti dalle predette limitazioni percentuali) non include gli annunci promozionali effettuati da un'emittente televisiva per una stazione radio appartenente al medesimo gruppo societario, salvo che i programmi oggetto di tali annunci promozionali siano qualificabili come «servizi di media audiovisivi» (dunque, scindibili dall'attività principale della stazione radio) e che l'emittente televisiva ne assuma la responsabilità editoriale.

  • C-218/22

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 21/02/2024

    Commissione: XI COMMISSIONE (LAVORO PUBBLICO E PRIVATO), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza del 18 gennaio 2024 nella causa C‑218/22 (ex dipendente pubblico del comune di Copertino contro comune di Copertino), la Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che il diritto dell'UE (nello specifico l'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) osta a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, vieti di versare al lavoratore un'indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuiti, maturati e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non dimostri di non aver goduto delle ferie per ragioni indipendenti dalla sua volontà.

    Il diritto dell'Unione non osta alla perdita di tale diritto soggettivo solo nel caso in cui il lavoratore si sia astenuto dal fruire dei giorni di ferie deliberatamente, sebbene il datore di lavoro lo abbia invitato a farlo, informandolo del rischio di perdere il diritto in questione ove non esercitato entro un periodo di riferimento o di riporto autorizzato.

  • C-86/22

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 18/01/2024

    Commissione: X COMMISSIONE (ATTIVITA' PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza del 21 dicembre 2023 la Corte di Giustizia dell'UE si è pronunciata sulla causa C-86/22, nella controversia tra, da un lato, la Papier Mettler Italia Srl - impresa produttrice di sacchetti di plastica – e, dall'altro, il Ministero della Transizione Ecologica e il Ministero dello Sviluppo Economico, in merito alla legittimità del decreto ministeriale 18 marzo 2013 (non più in vigore) che vietava la commercializzazione di sacchetti monouso in plastica non compostabili. Nel pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali sollevate dal TAR Lazio, la Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che: a) gli articoli 8 e 9 della direttiva 98/34/CE (non più in vigore), dovevano essere interpretati nel senso che impedivano l'adozione di una normativa nazionale recante regole tecniche più restrittive di quelle dell'UE, che vietasse la commercializzazione di sacchi monouso fabbricati con materiali non biodegradabili, e quindi non rispondenti alla normativa unionale sugli imballaggi, in quanto nel caso di specie era stata comunicata alla Commissione europea solo qualche giorno prima della sua adozione e pubblicazione. La direttiva 98/34/CE, infatti, imponeva agli Stati membri il rinvio dell'adozione di un progetto di regola tecnica per un periodo di tre mesi, a decorrere dalla data in cui la Commissione ne aveva ricevuto notizia, per consentire alla stessa Commissione di effettuare un controllo preventivo; b) l'articolo 18 della direttiva 94/62/CE deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che vieti la commercializzazione di sacchi monouso fabbricati a partire da materiali non biodegradabili e non compostabili può trovare giustificazione nella finalità di assicurare un livello più elevato di tutela dell'ambiente, a patto di soddisfare le condizioni previste dall'articolo 114, paragrafi 5 e 6, TFUE, ovvero se basata su nuove prove scientifiche in materia di protezione dell'ambiente emerse dopo l'adozione della normativa Ue e relative a situazioni specifiche di uno Stato membro, nonché a condizione che le misure e i motivi a fondamento della loro adozione siano comunicati alla Commissione; c) il citato articolo 18 deve essere interpretato nel senso che esso ha effetto diretto, così da comportare, nell'eventualità di una controversia, la disapplicazione della norma nazionale contraria da parte di un giudice nazionale; d) l'adozione di una normativa nazionale di divieto di commercializzazione di sacchetti monouso non biodegradabili ma fabbricati nel rispetto di altri requisiti della normativa sugli imballaggi, ove non giustificata dalla finalità di perseguire una maggiore tutela ambientale, può costituire una violazione sufficientemente qualificata del predetto articolo 18.
  • C-431/22

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 18/01/2024

    Commissione: VII COMMISSIONE (CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza del 21 dicembre 2023 nella causa C-431/22 (Scuola europea di Varese contro PD, in qualità di persona esercente la responsabilità genitoriale su NG e LC, in qualità di persona esercente la responsabilità genitoriale su NG), la Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che il combinato disposto dell'articolo 27, paragrafo 2, della Convenzione recante statuto delle scuole europee, conclusa a Lussemburgo il 21 giugno 1994 tra gli Stati membri e le Comunità europee, e degli articoli 61, 62, 66 e 67 del regolamento generale delle scuole europee, nella sua versione n. 2014‑03‑D‑14‑fr‑11, deve essere interpretato nel senso che la Camera dei ricorsi, istituita dall'articolo 27, paragrafo 2, della Convenzione recante statuto delle scuole europee, dispone di una competenza esclusiva in prima e in ultima istanza a statuire, dopo l'esaurimento della via amministrativa prevista da detto regolamento generale, su qualsiasi controversia vertente sulla legittimità della decisione di un consiglio di classe di una scuola europea di non autorizzare il passaggio di un allievo ad una classe superiore del ciclo secondario.

    Si ricorda che La domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 27, paragrafo 2, della Convenzione recante statuto delle scuole europee era stata presentata nell'ambito di una controversia che oppone la Scuola europea di Varese (Italia) a PD e LC, che agiscono in qualità di persone esercenti l'autorità genitoriale sul loro figlio minore NG, e vertente sulla competenza dei giudici italiani a conoscere di un ricorso diretto all'annullamento di una decisione di un consiglio di classe di non autorizzare il passaggio alla classe superiore di NG, studente del quinto anno del ciclo secondario presso tale scuola.

  • C-636/22

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 10/01/2024

    Commissione: II COMMISSIONE (GIUSTIZIA), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza del 16 novembre 2023 nella causa C-636/22 la Corte ha stabilito che l'articolo 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, in combinato disposto con il principio di uguaglianza davanti alla legge sancito all'articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dev'essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che preclude in maniera assoluta e automatica all'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione di subordinare la consegna del cittadino di un paese terzo che risieda nel proprio territorio alla condizione che egli, dopo essere stato ascoltato, sia rinviato nel medesimo Stato membro per l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciata nei suoi confronti nello Stato emittente.

    La Corte ha altresì precisato che per valutare se occorra subordinare l'esecuzione del mandato d'arresto europeo emesso nei confronti del cittadino di un paese terzo che risieda nel territorio dello Stato membro di esecuzione alla condizione prevista da tale disposizione, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione di tale cittadino, idonei a indicare se esistano, tra quest'ultimo e lo Stato, legami che dimostrino che egli è sufficientemente integrato e che, pertanto, l'esecuzione, in detto Stato membro, della pena o della misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciata nei suoi confronti nello Stato emittente contribuirebbe ad aumentare le sue possibilità di reinserimento sociale dopo che tale pena o misura di sicurezza sia stata eseguita.

    Aggiunge la Corte che tra tali elementi vanno annoverati i legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato membro di esecuzione, nonché la natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno nel medesimo Stato.

  • C-270/22

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 10/01/2024

    Commissione: XI COMMISSIONE (LAVORO PUBBLICO E PRIVATO), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza del 30 novembre 2023 nella causa C‑270/22 (G.D., A.R. e C.M. contro Ministero dell'Istruzione e Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)), la Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che la clausola n. 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso tra Confederazione europea dei sindacati (CES), Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europee (UNICE) e Centro europeo dell'impresa a partecipazione pubblica (CEEP) e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che, ai fini del riconoscimento dell'anzianità di un lavoratore al momento della sua nomina come dipendente pubblico di ruolo, escluda i periodi di servizio prestati nell'ambito di contratti di lavoro a tempo determinato che non raggiungano i 180 giorni in un anno scolastico o non siano svolti con continuità dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale, indipendentemente dal numero effettivo di ore lavorate, e limiti ai due terzi il computo dei periodi che raggiungano tali soglie e che eccedano i quattro anni, con riserva di recupero del rimanente terzo dopo un certo numero di anni di servizio.

  • C-228/21

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 10/01/2024

    Commissione: I COMMISSIONE (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza nelle cause riunite C-228/21, C-254/21, C-297/21, C-315/21 e C-328/21 (Ministero  dell'Interno) la Corte ha stabilito che, in base  al regolamento di Dublino e al regolamento Eurodac, la consegna dell'opuscolo comune (uniforme in tutta l'Unione) d'informazione sulla procedura di asilo e sui diritti e  obblighi spettanti ai richiedenti, nonché lo svolgimento di un colloquio personale nel contesto della medesima procedura s'impongono tanto nell'ambito di una prima domanda di asilo quanto nell'ambito di una domanda successiva.

    D'altra parte, secondo la Corte, il giudice del secondo Stato membro non può esaminare se il richiedente rischi, dopo il trasferimento verso il primo Stato membro, di essere respinto verso il suo paese di origine.

    Tale conclusione può essere diversa solo se detto giudice constati carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti nel primo Stato membro.

    Divergenze di opinioni tra gli Stati membri in relazione all'interpretazione dei presupposti della protezione internazionale non dimostrano l'esistenza di carenze sistemiche. Ogni Stato membro deve ritenere, salvo circostanze eccezionali, che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e in particolare i diritti fondamentali riconosciuti da tale diritto.

  • C-196/22

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 10/01/2024

    Commissione: XIII COMMISSIONE (AGRICOLTURA), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza del 16 novembre 2023, C-196/22 (IB contro Regione Lombardia e Provincia di Pavia), la Corte di Giustizia dell'UE ha dichiarato che gli articoli 2 e 4 del regolamento (CE, Euratom) 2988/95, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, gli articoli 2 e 4 del regolamento (CEE)  2080/92 che istituisce un regime comunitario di aiuti alle misure forestali nel settore agricolo, nonché il principio di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa nazionale la quale preveda la decadenza totale dagli aiuti all'imboschimento e, pertanto, l'obbligo di procedere al rimborso integrale di tali aiuti, nonché l'esclusione totale dagli aiuti che avrebbero dovuto essere versati a titolo delle restanti annualità di impegno, per il caso in cui si constati, nel corso dell'esecuzione di un impegno pluriennale, che la superficie rimboschita sia inferiore del 20% rispetto alla superficie ammessa a titolo di tale impegno.

  • (cause riunite C-228/21, C-254/21, C-297/21, C-315/21, C-328/21)

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 10/01/2024

    Commissione: I COMMISSIONE (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    Con sentenza nelle cause riunite C-228/21, C-254/21, C-297/21, C-315/21 e C-328/21 (Ministero  dell'Interno) la Corte ha stabilito che, in base  al regolamento di Dublino e al regolamento Eurodac, la consegna dell'opuscolo comune (uniforme in tutta l'Unione) d'informazione sulla procedura di asilo e sui diritti e  obblighi spettanti ai richiedenti, nonché lo svolgimento di un colloquio personale nel contesto della medesima procedura s'impongono tanto nell'ambito di una prima domanda di asilo quanto nell'ambito di una domanda successiva.

    D'altra parte, secondo la Corte, il giudice del secondo Stato membro non può esaminare se il richiedente rischi, dopo il trasferimento verso il primo Stato membro, di essere respinto verso il suo paese di origine.

    Tale conclusione può essere diversa solo se detto giudice constati carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti nel primo Stato membro.

    Divergenze di opinioni tra gli Stati membri in relazione all'interpretazione dei presupposti della protezione internazionale non dimostrano l'esistenza di carenze sistemiche. Ogni Stato membro deve ritenere, salvo circostanze eccezionali, che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e in particolare i diritti fondamentali riconosciuti da tale diritto.

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