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Sentenze della Corte di Giustizia dell'UE

La sezione raccoglie gli estremi delle sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE) che, dal mese di dicembre 2011, a seguito della loro pubblicazione sul sito della medesima, sono state trasmesse alle Camere dal Governo (Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri) e assegnate alle Commissioni parlamentari competenti per materia ai fini di un loro possibile esame, ai sensi dell'articolo 127-bis del Regolamento della Camera dei deputati.

Si tratta delle sentenze in cui lo Stato italiano o altro ente pubblico territoriale italiano sono parte - anche interveniente - nella causa dinanzi alla CGUE e delle sentenze relative a procedimenti avviati a seguito di rinvio pregiudiziale da parte di un'autorità giudiziaria italiana. Attraverso uno specifico collegamento ipertestuale è possibile consultare il testo integrale di ciascuna sentenza.
 

  • C-395/18

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 01/04/2020

    Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La sentenza verte sull'interpretazione della direttiva 2014/24/UE, con particolare riferimento all'applicazione delle disposizioni in materia di motivi di esclusione di un operatore economico dalle procedure di appalto. Vengono in considerazione, inoltre, il Codice italiano dei contratti pubblici (decreto legislativo del 18 aprile 2016, n. 50) e legge del 12 marzo 1999, n. 68 – Norme per il diritto al lavoro dei disabili.

    Il procedimento principale è sorto a seguito dell'esclusione da parte della Consip, in qualità di amministrazione aggiudicatrice, della TIM a una procedura di appalto dopoché la prima ha constatato che uno dei tre subappaltatori dei quali la TIM intendeva avvalersi in caso di aggiudicazione di appalto relativo alla fornitura di un sistema di comunicazione ottica era risultato non in regola con le norme sull'accesso al lavoro dei disabili. Il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se la direttiva 2014/24 e il principio di proporzionalità ostino ad una normativa nazionale, in virtù della quale l'amministrazione aggiudicatrice è tenuta ad escludere automaticamente un operatore economico dalla procedura di aggiudicazione di appalto qualora nei confronti di uno dei subappaltatori menzionati nell'offerta di tale operatore venga constatato il motivo di esclusione previsto dall'articolo 57, paragrafo 4, lettera a), di detta direttiva, tra i quali il mancato rispetto (ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 2) di obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale, e del lavoro stabiliti dal diritto dell'Unione, dal diritto nazionale, dai contratti collettivi e da determinate disposizioni a livello internazionale.

    Secondo la Corte di giustizia dell'UE, anzitutto, l'articolo 57 non ha come obiettivo una uniformità di applicazione dei motivi di esclusione ivi indicati a livello dell'Unione, nella misura in cui gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare tali motivi o di integrarli nella normativa nazionale con un grado di rigore che può variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale. Gli Stati membri dispongono dunque di un sicuro margine di discrezionalità nella determinazione delle condizioni di applicazione dei motivi di esclusione facoltativi. Inoltre, la necessità di assicurare in modo adeguato il rispetto degli obblighi previsti dall'articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 deve permettere agli Stati membri, in sede di determinazione delle condizioni di applicazione del motivo di esclusione previsto dall'articolo 57, paragrafo 4, lettera a), di detta direttiva, di ritenere che l'autore della violazione possa essere non soltanto l'operatore economico che ha presentato l'offerta, ma anche i subappaltatori dei quali quest'ultimo intenda avvalersi; l'amministrazione aggiudicatrice può infatti legittimamente pretendere di attribuire l'appalto soltanto agli operatori economici che, sin dalla fase di procedura di affidamento dell'appalto, dimostrino la propria capacità di assicurare in modo adeguato, nel corso dell'esecuzione dell'appalto, il rispetto degli obblighi suddetti, eventualmente avvalendosi di subappaltatori a loro volta rispettosi degli obblighi in questione. Ne consegue che gli Stati membri possono prevedere, ai fini dell'applicazione dell'articolo 57, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2014/24, che l'amministrazione aggiudicatrice abbia la facoltà, o addirittura l'obbligo, di escludere l'operatore economico che ha presentato l'offerta dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell'appalto qualora nei confronti di uno dei subappaltatori menzionati nell'offerta di tale operatore venga constatata una violazione degli obblighi previsti dall'articolo 18 paragrafo 2, di detta direttiva.

    La Corte tuttavia precisa che, nell'applicare i motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici devono prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità, prendendo segnatamente in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o il ripetersi di irregolarità lievi. Tale attenzione deve essere ancor più elevata qualora l'esclusione prevista dalla normativa nazionale colpisca l'operatore economico che ha presentato l'offerta per una violazione commessa non da lui direttamente, bensì da un soggetto estraneo alla sua impresa, per il controllo del quale detto operatore può non disporre di tutta l'autorità richiesta e di tutti i mezzi necessari. La necessità di rispettare il principio di proporzionalità risulta rispecchiata in particolare all'articolo 57, paragrafo 6, primo comma, della direttiva 2014/24, in virtù del quale un operatore economico passibile di esclusione da una procedura di appalto per una violazione constatata nei confronti di un subappaltatore indicato nell'offerta, può fornire le prove al fine di attestare che le misure da esso prese sono sufficienti per dimostrare la sua affidabilità malgrado l'esistenza di detto motivo di esclusione.

    L'articolo 57, paragrafo 6, primo comma, della direttiva 2014/24 precisa che, se tali prove sono ritenute sufficienti, l'operatore economico in questione non deve essere escluso dalla procedura di aggiudicazione dell'appalto. Tale disposizione introduce dunque un meccanismo di misure correttive (selfcleaning) che sottolinea l'importanza attribuita all'affidabilità dell'operatore economico.

    Da tale argomento discende, in sintesi, che una normativa nazionale in discussione nel procedimento principale che preveda in modo generale e astratto l'esclusione automatica dell'operatore economico (che, in altre parole, non consenta all'amministrazione aggiudicatrice di tenere conto, ai fini della valutazione della situazione, di una serie di fattori pertinenti, come i mezzi di cui l'operatore economico che ha presentato l'offerta disponeva per verificare l'esistenza di una violazione in capo ai subappaltatori, o la presenza di un'indicazione, nella sua offerta, della propria capacità di eseguire l'appalto senza avvalersi necessariamente del subappaltatore in questione) viola il principio di proporzionalità, imponendo alle amministrazioni aggiudicatrici di procedere automaticamente a tale esclusione a causa della violazione commessa da un subappaltatore, ed eccedendo così il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri, a norma dell'articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24.

    La Corte statuisce pertanto: l'articolo 57, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, non osta ad una normativa nazionale, in virtù della quale l'amministrazione aggiudicatrice abbia la facoltà, o addirittura l'obbligo, di escludere l'operatore economico che ha presentato l'offerta dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell'appalto qualora nei confronti di uno dei subappaltatori menzionati nell'offerta di detto operatore venga constatato il motivo di esclusione previsto dalla disposizione sopra citata; per contro, tale disposizione, letta in combinato disposto con l'articolo 57, paragrafo 6, della medesima direttiva, nonché il principio di proporzionalità, ostano ad una normativa nazionale che stabilisca il carattere automatico di tale esclusione.

  • C-414/18

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    Assegnata in data: 29/01/2020

    Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte di giustizia è chiamata in via pregiudiziale ad interpretare l’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) ed f), del regolamento delegato (UE) 2015/63 della Commissione, che integra la direttiva 2014/59/UE (che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento) per quanto riguarda i contributi ex ante ai meccanismi di finanziamento della risoluzione. Ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, della direttiva 2014/59/UE i contributi ex ante di ciascun ente (che sono corretti secondo determinati criteri adottati in funzione del profilo di rischio dell’ente) sono calcolati in percentuale dell’ammontare delle sue passività (esclusi i fondi propri) meno i depositi protetti in relazione alle passività aggregate (esclusi i fondi propri) meno i depositi protetti di tutti gli enti autorizzati nel territorio dello Stato membro. Tali contributi, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento delegato (UE) 2015/63 sono calcolati escludendo, tra l’altro, le passività seguenti: lettera a): passività infragruppo derivanti da operazioni condotte dall'ente con un altro ente appartenente allo stesso gruppo, a condizione che sia soddisfatta ciascuna delle condizioni seguenti: i) ciascun ente è stabilito nell'Unione; ii) ciascun ente è incluso integralmente nella stessa vigilanza su base consolidata a norma degli articoli da 6 a 17 del regolamento (UE) n. 575/2013 ed è sottoposto a adeguate procedure centralizzate di valutazione, misurazione e controllo del rischio; iii) non vi sono e non sono previsti rilevanti impedimenti di fatto o di diritto che ostacolino il tempestivo rimborso della passività alla scadenza; lettera f): in caso di ente che gestisce prestiti agevolati, passività dell'ente intermediario verso l'istituto di credito agevolato d'origine o altro istituto di credito agevolato ovvero verso altro ente intermediario, e passività dell'istituto di credito agevolato verso i suoi finanziatori, nella misura in cui l'importo di tali passività trova corrispondenza nei prestiti agevolati concessi dall'ente. La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Iccrea Banca SpA Istituto Centrale del Credito Cooperativo alla Banca d’Italia, in merito a varie decisioni e note di quest’ultima relative al pagamento di contributi al Fondo nazionale di risoluzione italiano e al Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund - SRF). Iccrea Banca è una banca che è posta al vertice di una rete di aziende di credito e che ha come obiettivo di dare supporto all’operatività, tra l’altro, delle banche di credito cooperativo in Italia. Ha costituito un gruppo al quale hanno aderito circa 190 banche di credito cooperativo, allo scopo esclusivo di partecipare alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine mirate, messe in atto dalla BCE. Con decisioni adottate tra il 2015 e il 2017 la Banca d’Italia ha richiesto a Iccrea Banca il pagamento di contributi ordinari, straordinari e addizionali al Fondo nazionale di risoluzione italiano; inoltre, con nota del 3 maggio 2016 ha richiesto a Iccrea Banca il pagamento di un contributo ex ante al Fondo di risoluzione unico per l’anno 2016 stabilito da una decisione del Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board – SRB) del 15 aprile 2016 e con nota del 27 maggio 2016 ha apportato una correzione all’importo di quest’ultimo contributo, in applicazione di una decisione del SRB del 20 maggio 2016. Avverso le suddette decisioni e note, Iccrea Banca ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio; il ricorso mira, altresì, alla determinazione della modalità appropriata di calcolo delle somme effettivamente dovute da Iccrea Banca, nonché al rimborso delle somme che quest’ultima considera come indebitamente pagate. Iccrea Banca sostiene che la Banca d’Italia si è fondata su un’erronea interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento delegato 2015/63. Essa avrebbe infatti preso in considerazione, ai fini del calcolo dei contributi in questione nel procedimento principale, le passività connesse ai rapporti tra Iccrea Banca e talune banche di credito cooperativo, quando invece le stesse avrebbero dovuto essere escluse da tale calcolo in virtù di un’applicazione, in via analogica, delle disposizioni del suddetto regolamento delegato relative alle passività infragruppo o agli enti creditizi che gestiscono prestiti agevolati. Tale erronea interpretazione avrebbe altresì portato la Banca d’Italia a non cogliere la peculiarità del sistema integrato nel quale opererebbe Iccrea Banca ed avrebbe così causato un errore nel calcolo del contributo ex ante al SRF per l’anno 2016. Il TAR Lazio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: - se l’articolo 5, paragrafo 1, in particolare alle lettere a) ed f), del regolamento delegato 2015/63 osti ad un’applicazione del regime previsto delle passività infragruppo anche nel caso di gruppo “di fatto” o, comunque, nel caso di interconnessioni esistenti tra un ente ed altre banche di un medesimo sistema; - se invece il trattamento di favore riservato alle passività agevolate nel medesimo articolo 5 possa trovare applicazione, per via analogica, anche alle passività di una banca cosiddetta “di secondo livello” verso le altre banche del sistema (del Credito Cooperativo) o se quest’ultima caratteristica di un ente, concretamente operante come istituto centrale all’interno di una compagine interconnessa ed integrata di piccole banche, anche nei rapporti con la BCE e con il mercato finanziario, debba comunque condurre, in base alla disciplina vigente, a qualche correttivo nella prospettazione dei dati finanziari da parte dell’Autorità nazionale di risoluzione agli organismi [dell’Unione] e nella determinazione dei contributi dovuti dall’ente al Fondo di risoluzione in forza delle sue effettive passività e del suo concreto profilo [di] rischio. Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte sostiene che non spetta al giudice del rinvio valutare, nella causa di cui al procedimento principale, la compatibilità di decisioni della Banca d’Italia con le norme disciplinanti il calcolo dei contributi ex ante al SRF, dato che detto giudice non può, in virtù del diritto dell’Unione, né pronunciarsi sugli atti della Banca d’Italia che preparano tale calcolo, né impedire la riscossione, a carico di Iccrea Banca, di un contributo corrispondente all’importo determinato mediante atti del SRB la cui invalidità non è stata accertata, con conseguente irricevibilità della questione sollevata per gli aspetti che si riferiscono specificamente al calcolo dei contributi ex ante al SRF, mentre la questione è ritenuta ricevibile là dove si riferisce al calcolo dei contributi ordinari, straordinari e addizionali al Fondo nazionale di risoluzione italiano. Per la parte ricevibile la Corte risponde alla questione sottolineando in particolare che: • le relazioni tra enti creditizi come quelle evocate dal giudice del rinvio, intercorrenti tra una banca di secondo livello e i suoi partner e consistenti nella fornitura di servizi di vario tipo da parte di tale banca di secondo livello, non possono essere considerate idonee a dimostrare l’esistenza di un gruppo in seno al quale possano esistere delle «passività infragruppo», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), del regolamento delegato 2015/63. • il semplice fatto che delle banche cooperative facciano parte di una compagine, quale quella di cui al procedimento principale, non è idoneo a dimostrare che la banca di secondo livello appartenente a tale gruppo possa essere considerata come un ente creditizio che gestisce prestiti agevolati, il che è sufficiente per escludere che una parte delle sue passività possa soddisfare i requisiti enunciati all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f), del regolamento delegato 2015/63; • sebbene il giudice del rinvio prospetti che l’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) ed f), del suddetto regolamento delegato debba essere interpretato nel senso che può essere applicato a situazioni che sono assimilabili a quelle prese in considerazione da tale articolo, quand’anche dette situazioni non soddisfino la totalità delle condizioni enunciate nelle disposizioni sopra citate, occorre constatare che un’interpretazione siffatta è incompatibile con il testo di tali disposizioni. Per gli argomenti sopra descritti, la Corte ha risolto la questione pregiudiziale stabilendo che l’articolo 103, paragrafo 2, della direttiva 2014/59 e l’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) ed f), del regolamento delegato 2015/63 devono essere interpretati nel senso che le passività risultanti da operazioni concluse tra una banca di secondo livello e i membri di una compagine, che detta banca forma insieme a banche cooperative cui fornisce servizi di vario tipo senza avere il controllo delle stesse, e non comprendenti prestiti concessi su base non concorrenziale e senza scopo di lucro non sono escluse dal calcolo dei contributi ad un fondo nazionale di risoluzione contemplati dal citato articolo 103, paragrafo 2.
  • C-63/18

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    Assegnata in data: 30/10/2019

    Commissione: VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte ha dichiarato che la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30 per cento la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.
  • C-54/18

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    Assegnata in data: 19/06/2019

    Commissione: VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte ha dichiarato che la direttiva 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, e in particolare i suoi articoli 1 e 2-quater, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, non osta a una normativa nazionale che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di trenta giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione sui motivi pertinenti tale da garantire che gli interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell'Unione dagli stessi lamentata. La Corte ha, altresì, dichiarato che la direttiva non osta a una normativa nazionale che prevede che, in mancanza di ricorso contro i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione degli offerenti alla partecipazione alle procedure di appalto pubblico entro un termine di decadenza di trenta giorni dalla loro comunicazione, agli interessati sia preclusa la facoltà di eccepire l'illegittimità di tali provvedimenti nell'ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione, purché tale decadenza sia opponibile agli interessati solo a condizione che essi siano venuti o potessero venire a conoscenza, tramite detta comunicazione, dell'illegittimità dagli stessi lamentata.
  • C-712/17

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    Assegnata in data: 11/06/2019

    Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte ha dichiarato che, in una situazione in cui vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi non hanno causato perdite di gettito fiscale, la direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, letta alla luce dei princìpi di neutralità e di proporzionalità, non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l'IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un'operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d'imposta risultante da tale obbligo qualora l'emittente della fattura, che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale, mentre i princìpi di proporzionalità e di neutralità dell'IVA, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, ostano a una norma di diritto nazionale in forza della quale la detrazione illegale dell'IVA è punita con una sanzione pari all'importo della detrazione effettuata
  • C-53/18

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    Assegnata in data: 11/06/2019

    Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte ha dichiarato che gli articoli 8, 23, 50 e 51 della direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e gli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), nonché i princìpi di non discriminazione e di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che, in una situazione quale quella in esame nel procedimento principale, un divieto temporaneo di esercizio dell'attività di consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede non rientra né nell'ambito di applicazione di detta direttiva, né in quello degli articoli 49 e 56 del TFUE, e neppure in quello dei princìpi di non discriminazione e di proporzionalità, e che pertanto le predette norme e i predetti princìpi non ostano a un divieto siffatto
  • C-494/17

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 11/06/2019

    Commissione: XI COMMISSIONE (LAVORO PUBBLICO E PRIVATO), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte ha dichiarato che la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE, non osta a una normativa nazionale che, così come applicata dagli organi giurisdizionali supremi, esclude - per docenti del settore pubblico che hanno beneficiato della trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un effetto retroattivo limitato - qualsiasi diritto al risarcimento pecuniario in ragione dell'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, allorché una siffatta trasformazione non è né incerta, né imprevedibile, né aleatoria e la limitazione del riconoscimento dell'anzianità maturata in forza della suddetta successione di contratti di lavoro a tempo determinato costituisce una misura proporzionata per sanzionare tale abuso
  • C-309/18

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 11/06/2019

    Commissione: VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte ha dichiarato che i princìpi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE, sugli appalti pubblici, non ostano a una normativa nazionale secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d'appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i princìpi di trasparenza e di proporzionalità non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall'amministrazione aggiudicatrice
  • C-305/18 - Associazione 'Verdi Ambiente e Società'

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 11/06/2019

    Commissione: VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte ha dichiarato che il principio della «gerarchia dei rifiuti», di cui all'articolo 4 della direttiva 2008/98/CE, relativa ai rifiuti, alla luce dell'articolo 13 di tale direttiva, non osta a una normativa nazionale che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale», purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni della direttiva che prevedono obblighi più specifici, e che gli articoli 2, lettera a), e 3, paragrafi 1 e paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, costituita da una normativa di base e da una normativa di esecuzione, che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura, rientra nella nozione di «piani e programmi», ai sensi di tale direttiva, qualora possa avere effetti significativi sull'ambiente e deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva
  • C-611/17

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    Assegnata in data: 15/05/2019

    Commissione: XIII COMMISSIONE (AGRICOLTURA), XIV COMMISSIONE (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

    La Corte ha respinto il ricorso dell'Italia volto a ottenere l'annullamento del regolamento (UE) 2017/1398 del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2017/127 per quanto riguarda determinate possibilità di pesca

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