Con sentenza del 14 settembre 2023 nella causa C-27/22 (Volkswagen Group Italia SpA, Volkswagen Aktiengesellschaft contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), la Corte si è pronunciata essenzialmente sull'interpretazione dell'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, norma di diritto primario dell'UE in base alla quale nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge (principio del ne bis in idem).
Nello specifico, la Corte risponde in senso affermativo alla questione se le sanzioni irrogate per pratiche commerciali sleali siano qualificabili come sanzioni amministrative di natura penale. La Corte sottolinea che, ai fini della valutazione della natura penale dei procedimenti e delle sanzioni di cui trattasi, sono rilevanti tre criteri:
- per quanto riguarda il primo, relativo alla qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto interno, la Corte osserva che l'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali non si applica esclusivamente ai procedimenti e alle sanzioni qualificati come «penali» dal diritto nazionale, ma si estende anche – a prescindere da una siffatta qualificazione nel diritto interno – a procedimenti e sanzioni che debbano considerarsi come aventi natura penale;
- per quanto riguarda il secondo criterio, relativo alla natura stessa dell'illecito, la Corte precisa che esso implica di verificare se la sanzione di cui trattasi persegua, in particolare, una finalità repressiva;
- per quanto riguarda il terzo criterio, relativo al grado di severità della sanzione che l'interessato rischia di subire, la Corte ricorda che esso è valutato in funzione della pena massima prevista dalle disposizioni pertinenti.
Alla luce di questi tre criteri, la Corte conclude che, benché sia qualificata come sanzione amministrativa dalla normativa nazionale, una sanzione pecuniaria irrogata a una società dall'autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori in relazione a pratiche commerciali sleali costituisce una sanzione penale quando persegue una finalità repressiva e presenta un elevato grado di severità.
La Corte risponde, poi, in senso affermativo alla questione se il principio del ne bis in idem osti a una normativa nazionale che consente il mantenimento di una sanzione pecuniaria penale inflitta a una persona giuridica per pratiche commerciali sleali nel caso in cui essa abbia riportato una condanna penale per gli stessi fatti in un altro Stato membro, anche se detta condanna è successiva alla data della decisione che irroga la medesima sanzione ma è divenuta definitiva prima che la sentenza sul ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione sia passata in giudicato.
La Corte infine dichiara che è autorizzata la limitazione dell'applicazione del principio del ne bis in idem, in modo da consentire un cumulo di procedimenti o di sanzioni per gli stessi fatti, qualora siano soddisfatte tre condizioni:
- il cumulo non deve rappresentare un onere eccessivo per l'interessato;
- norme chiare e precise devono consentire di prevedere quali atti e omissioni possano essere oggetto di cumulo;
- i procedimenti di cui trattasi devono essere stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo.