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Sentenze della Corte di Giustizia dell'UE

La sezione raccoglie gli estremi delle sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE) che, dal mese di dicembre 2011, a seguito della loro pubblicazione sul sito della medesima, sono state trasmesse alle Camere dal Governo (Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri) e assegnate alle Commissioni parlamentari competenti per materia ai fini di un loro possibile esame, ai sensi dell'articolo 127-bis del Regolamento della Camera dei deputati.

Si tratta delle sentenze in cui lo Stato italiano o altro ente pubblico territoriale italiano sono parte - anche interveniente - nella causa dinanzi alla CGUE e delle sentenze relative a procedimenti avviati a seguito di rinvio pregiudiziale da parte di un'autorità giudiziaria italiana. Attraverso uno specifico collegamento ipertestuale è possibile consultare il testo integrale di ciascuna sentenza.
 

  • C-458/09 P

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 05/12/2011

    Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE)

    La sentenza oggetto di impugnazione ha respinto il ricorso dell'Italia diretto all'annullamento della decisione 16 marzo 2005, 2006/261/CE, con cui la Commissione ha dichiarato incompatibile con il mercato comune il regime di aiuti a favore di società recentemente quotate in Borsa, instaurato - senza previa notifica alla Commissione - dagli artt. 1, comma 1, lett. d), e 11 del decreto-legge n. 269 del 2003.

    Tali disposizioni prevedono, rispettivamente, l'esclusione dall'imposizione sul reddito d'impresa dell'ammontare delle spese sostenute per la quotazione in un mercato regolamentato, in aggiunta all'ordinaria deduzione e - per le società le cui azioni sono ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge e fino al 31 dicembre 2004 - la riduzione dell'aliquota dell'imposta sul reddito al 20 per cento per il periodo d'imposta nel corso del quale è stata disposta l'ammissione alla quotazione e per i due periodi d'imposta successivi.

    Secondo la richiamata decisione della Commissione, il regime di aiuti deroga al normale funzionamento del sistema tributario e, favorendo alcune imprese, offre evidenti vantaggi selettivi.

    Con riferimento a tale ultimo profilo, la Corte conferma la valutazione del Tribunale secondo cui la limitazione nel tempo delle agevolazioni comporta la loro selettività, poiché di fatto determina l'esclusione di numerosi beneficiari potenziali. La Corte, inoltre, richiamando la sua precedente giurisprudenza, conferma la qualificazione degli aiuti in questione come "aiuti al funzionamento" dell'impresa, rigettando il motivo proposto nel ricorso dell'Italia secondo cui essi mirerebbero non già a sostenere la gestione corrente dell'impresa, bensì a rafforzare in maniera stabile la situazione patrimoniale delle società e a promuoverne l'aumento delle dimensioni.

    In materia di recupero di aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, si segnala la condanna dell'Italia (C. 496/09) per non aver dato esecuzione alla sentenza resa nella causa C. 99/02 (aiuti all'occupazione sotto forma di contratti di formazione lavoro). La sentenza è assegnata alla Commissione lavoro.

  • C-396/09

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 05/12/2011

    La sentenza ha ad oggetto l'interpretazione del regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1346, relativo alle procedure d'insolvenza (con riferimento in particolare alle nozioni di “centro degli interessi principali“ del debitore e di "dipendenza" previste dall'articolo 3 ai fini dell'individuazione del giudice competente) nonché la compatibilità con il diritto dell'Unione dell'art. 382 c.p.c., in materia di decisione delle questioni di giurisdizione e di competenza.

    L'art. 382 c.p.c. dispone che la Corte di Cassazione, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente. Secondo giurisprudenza consolidata, tale statuizione è definitiva e vincolante per il giudice investito del merito della causa.

    Nella fattispecie oggetto della controversia principale il convenuto aveva contestato la giurisdizione del giudice italiano adito attraverso azione di fallimento in quanto riteneva erronea l'interpretazione che la Corte di Cassazione aveva dato del citato regolamento in sede di risoluzione della questione di giurisdizione.

    La Corte di giustizia ha previamente dichiarato che il diritto dell'Unione osta a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale ai sensi della quale egli deve attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell'Unione, come interpretato dalla Corte.

    La Corte - chiarendo che la nozione di "centro degli interessi principali" del debitore deve essere interpretata con riferimento al diritto dell'Unione - ha definito la medesima privilegiando il criterio del luogo dell'amministrazione principale della società debitrice, come determinabile sulla base di elementi oggettivi e riconoscibili dai terzi. La Corte inoltre - con riferimento alla presunzione di cui all'art. 3, par. 1, del Reg. (secondo la quale, per le società e le persone giuridiche, si presume che il "centro degli interessi principali" sia il luogo in cui si trova la sede statutaria): da un lato, ha escluso che tale presunzione sia superabile nel caso in cui gli organi direttivi e di controllo della società si trovino presso la sua sede statutaria e qualora le decisioni di gestione di tale società siano assunte, in maniera riconoscibile dai terzi, in tale luogo; dall'altro ha stabilito i limiti entro cui la presunzione è superabile nel caso in cui il luogo dell'amministrazione principale di una società non si trovi presso la sua sede statutaria. Con riferimento, poi, alla nozione di "dipendenza", la Corte ha infine chiarito che deve intendersi la presenza di una struttura implicante un minimo di organizzazione e una certa stabilità ai fini dell'esercizio di un'attività economica.

  • C-379/10

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 05/12/2011

    Commissione: II COMMISSIONE (GIUSTIZIA)

    In relazione a danni cagionati a singoli derivanti da violazioni del diritto dell'Unione effettuate da organi giurisdizionali di ultimo grado, la Corte ha censurato la normativa italiana in materia di responsabilità civile dei magistrati (art. 2, legge n. 117 del 1988), sotto i due profili:

    - da un lato, dell'esclusione della responsabilità dello Stato qualora la violazione del diritto dell'Unione derivi da un'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuata da un siffatto organo;

    - dall'altro, in generale, della limitazione della responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo o colpa grave dei giudici.

    La Corte ha pertanto condannato la Repubblica italiana alle spese.

    n.b.: l'art. 2 della legge n. 117 del 1988 era già stato ritenuto incompatibile con il diritto comunitario per i due profili indicati nella sentenza resa in via pregiudiziale nella causa C-173/03 (Traghetti del Mediterraneo).

  • C-302/09

    Consulta la sentenza su curia.europa.eu

    Assegnata in data: 05/12/2011

    La sentenza stabilisce che la Repubblica Italiana, non avendo adottato, nei termini stabiliti, tutte le misure necessarie a recuperare presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegittimo e incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 25 novembre 1999, 2000/394/CE, relativa alle misure di aiuto in favore delle imprese nei territori di Venezia e di Chioggia previste dalle leggi n. 30/1997 e n. 206/1995, recanti sgravi degli oneri sociali, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 5 di detta decisione.

    In particolare la Corte ritiene che i motivi addotti dal Governo italiano per giustificare il mancato recupero degli aiuti illegittimamente concessi - ossia l'esistenza di un contenzioso in corso presso le autorità giudiziarie nazionali e le difficoltà collegate alla necessità di individuare le imprese obbligate a restituire detti aiuti - non costituissero un'impossibilità assoluta di dare esecuzione alla decisione 2000/394/CE, ai sensi della consolidata giurisprudenza in materia.

    La Corte, inoltre, osserva che, nel corso della procedura di recupero degli aiuti illegittimi, il legislatore italiano aveva intrapreso un'azione seria al fine di garantire l'efficacia di tale recupero, adottando il d.l. n. 59/2008, volto a risolvere il problema procedurale causato dalla sospensione dell'esecuzione degli ordini di recupero degli aiuti, disposta dai giudici nazionali; questa misura tuttavia, entrata in vigore dopo la scadenza dei termini stabiliti per procedere al recupero degli aiuti illegittimi, si è rivelata inefficace dato che, parecchi anni dopo la notifica della decisione 2000/394, una parte rilevante di detti aiuti non era stata recuperata. La Corte rileva quindi in termini generali che le iniziative legislative destinate a garantire l'esecuzione, da parte dei giudici nazionali, di una decisione della Commissione che obbliga uno Stato membro a recuperare un aiuto illegittimo, le quali vengano adottate in ritardo e risultino inefficaci, non soddisfano i principi che derivano dalla giurisprudenza, in particolare il principio secondo cui lo Stato membro è tenuto ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l'effettivo recupero delle somme dovute e il principio per il quale un recupero tardivo , successivo ai termini stabilito, non può soddisfare le prescrizioni del Trattato.

    n.b.: In materia di aiuti di Stato, si richiama la sentenza del 24 novembre (C-458/09), assegnata lo scorso 5 dicembre alla Commissione finanze, con cui la Corte di giustizia ha rigettato l'impugnazione proposta dall'Italia avverso la sentenza del Tribunale di primo grado del 4 settembre 2009 (causa T‑211/05) in materia di aiuti di Stato a favore di società quotate in borsa.

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